Gargano slow moving, andata e ritorno

 

 

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 Alle solite, incomincia come una specie di scommessa, una sorta di sfida tra Giuliana e me: causa ridotte abilità automobilistiche di entrambi, e storica scarsa voglia di migliorarle da parte sia mia che sua, non siamo nuovi ad inattuali maratone di questo tipo… e così abbiamo previsto che ci impiegheremo non meno di sei ore, soste comprese, per percorrere meno di duecentocinquanta chilometri, per lo più su tortuose strade provinciali di collina, sempre quando non ci sarà da imboccare bivi e scavallare in paesini dimenticati da Dio, dagli uomini e dal tempo. L’abbiamo fatto altre volte, ma stavolta il percorso sembra disegnato apposta per questo, perché difficoltà e lungaggini non sembrano in alcun modo aggirabili. Dove siamo diretti? A Vico del Gargano, cioè sulla cima di uno spuntone di roccia che digrada da 500 metri di altitudine sul Mare Adriatico del nord della Puglia, tra colline tappezzate di boschi fittissimi e inviolati. Da dove partiamo? Da Avellino, cioè dal fondo di una conca piovosa incoronata dai monti nel cuore dell’Appennino meridionale. Nel mezzo? Tecnicamente l’Irpinia, con le sue vigne, i suoi campi, i suoi noccioleti, i suoi declivi più o meno dolci, poi tecnicamente un pezzo di Daunia, cioè di propaggine settentrionale del Tavoliere delle Puglie, ed infine, da qualunque parte lo si voglia affrontare, l’attraversamento del Promontorio del Gargano, frastagliata oasi verde che prelude allo sbocco sul mare. In pratica: una successione di borghi più o meno remoti,  a volte lungo la strada, a volte da qualche parte in cima, mentre l’avvicendamento tra una regione e l’altra, sulla carta così diverse, perde lentamente di senso tra la gradualità del cammino e le tante affinità che ci sfilano davanti agli occhi alla guida.

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 Montemiletto, Venticano, Ariano Irpino, Savignano (ma siamo ancora in provincia di Avellino?), Troia, Lucera, San Severo, Apricena, San Nicandro Garganico, Cagnano Varano, tra panorami agricoli e zootecnici che sanciscono, come se ce ne fosse ancora bisogno a me che ho la mamma di Ariano ex “Ariano di Puglia”, l’innegabile fratellanza di sangue appuloirpina che la lingua, la cucina e le rispettive culture non mancano di confermare ad ogni occasione, per una esperienza che ha il sapore di un viaggio nel tempo più che nello spazio, in un mondo che sembrava essere scomparso, fatto di asprezze di vita, di vento, di silenzi, di memorie autentiche che soltanto ieri avremmo creduto lontane cento e più anni.

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 E, quando arriviamo, altri borghi, altra pietra, altre case calcinate, altri boschi, altro bestiame, altro silenzio, stavolta con l’aggiunta del mare, di un mare d’inverno grigio e tempestoso, la cui minaccia odierna non riesce tuttavia a celare le lusinghe del fascino della bella stagione, annidato e nascosto tra le sedie rovesciate di fronte ai tanti ristoranti chiusi, ai lidi sprangati e deserti, alle spiagge fradice di pioggia. Perché si capisce perfettamente che è soltanto una questione di qualche mese, che è già tutto pronto lì in attesa, che pian piano tutto si ripopolerà ed affollerà, il litorale di San Menaio di frotte di bagnanti, l’imbarcadero per le Tremiti a Rodi Garganico di file di passeggeri, i nebbiosi sentieri della “foresta umbra” (appunto) di escursionisti,  i vicoli dei rioni di Vico di avventori a bere e ridere nella notte. Per il momento, però, noi siamo contenti di godercelo così, il paese diroccato e semideserto sotto la luce dei suoi mille lampioni, che ne annullano le ombre dipingendo di un giallo uniforme i suoi tanti colori reali, invadendo i suoi cento angoli e svelandoceli in tutta la loro disarmante bellezza, adesso immobile come se l’orologio si fosse fermato da decenni… Al resto, ci pensa l’accoglienza ricevuta a tavola, anche quella stranamente familiare eppure con una sua distinta individualità, ma certo che ce ne accorgiamo, che gli ingredienti e il gusto sono un tantino diversi, proprio  come se ne accorgevano e se ne sarebbero accorti dei viandanti di mille anni fa, e in effetti, e a conti fatti, e sì che non abbiamo proceduto poi a velocità tanto diversa.

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  San Giovanni Rotondo, Foggia (?!?… abbiamo di nuovo sbagliato strada! e adesso?), un’altra volta Lucera (ma a Troia da quale parte ci si arriva?), Troia, Orsara di Puglia (io dico che se passiamo da Montaguto forse facciamo prima!), Montaguto (e no, che non abbiamo fatto prima…), Savignano, Ariano (se giriamo da Taurasi forse scansiamo l’interruzione stradale), Taurasi (col piffero che l’abbiamo scansata… ma la via dritta noi mai, eh?), Pratola Serra…

  

 

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  Si ringraziano per la squisita ospitalità ed accoglienza, nonché per gli squisiti dolci e aperitivi: Pizzicato Eco Bed & Breakfast  e Pasticceria Pizzicato, Vico del Gargano (FG).

 

 

 

 

5 Risposte a “Gargano slow moving, andata e ritorno”

  1. Mi sono presa un attimo per leggerti e devo dire che come sempre ne è valsa la pena! 🙂
    I tuoi racconti sono eccentrici – come le tue rotte – ma sempre coinvolgenti! 🙂

  2. Grazie a te, Francesca, della tua attenzione e considerazione! Il mood pugliese scatena sempre in me molti ricordi d’infanzia… non immagini quanto possiamo avere in comune, noi altri montanari del Sud Appennino, con i nostri cugini della pianura e del mare ad Oriente!

  3. Eh, Carlo, che bel pezzo, che belle foto. “…annidato e nascosto tra le sedie rovesciate di fronte ai tanti ristoranti chiusi…” mi ha fatto venire una botta di malinconia, mi è venuto in mente il mare d’inverno, che è sempre spettacolare.
    Ma poi ci avete veramente messo sei ore?! Che serietà Giuliana alla guida 🙂

  4. Grazie, Elena, troppo gentile. Sei ore? Mah… al ritorno, forse, anche di più: e chi può dirlo? Questi tempi “dilatati” alla guida sono una delle nostre specialità: pensa il giorno che dovessimo mai affrontare un viaggio a distanze un po’ più significative… il tutto si trasformerebbe in un autentico pellegrinaggio!

  5. Ma è bello anche viaggiare lenti… sai quanti autogrill che ti vedi, per non parlare di quei baretti oscuri dei benzinai delle statali…

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