D’inverno alle Tremiti

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Adagiate nel mezzo del basso Adriatico l’una di fronte all’altra.
Lunghe appena qualche chilometro e larghe meno di due dove non di uno, una interamente ricoperta da una foresta di pini, l’altra occupata da una fortezza in rovina e da una brughiera di sterpi: difficile immaginare due isole più diverse tra loro. A separarle, uno stretto braccio di mare di appena qualche centinaio di metri, con nel mezzo un paio di scogli, su uno dei quali quale poggiano i pali dei fili della luce che vanno da una parte all’altra.

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San Domino e San Nicola, le maggiori delle Tremiti.
Maggiori si fa per dire, perché le altre tre, Cretaccio (uno degli scogli di cui prima), Capraia (o Caprara, o Capperaia, un altro scoglio disabitato poco più grande alle spalle di San Nicola, da non confondere con la sua omonima nel mare della Toscana) e Pianosa (minuscola, circa 20 km a nord est in direzione della costa croata, anche questa da non confondere con quella più famosa dell’arcipelago toscano, fino a non molti anni fa sede di carcere di massima sicurezza) non fanno testo come unità abitative. E La Vecchia, lo scoglio ancor più minuscolo accanto al Cretaccio, spesso non è neppure annoverato nel numero.

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Difficile immaginare maggiore periferica desolazione.
Toponimi vaghi, imprecisi, ambivalenti ed ambigui, una storia di sede di confino del regno e del ventennio (deportati libici prima, e detenuti politici poi, a San Nicola, omosessuali a San Domino). Nessun ponte di collegamento, neppure di barche, tra le due isole (sempre si fa per dire) principali: il passaggio dall’una all’altra affidato a uno scorbutico barcaiolo che non si fa problemi a lasciarvi a terra per ore, se non siete abbastanza svelti a saltare a bordo.

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Ancora, andiamo avanti.
Niente acquedotti (l’acqua potabile arriva via nave e viene custodita in cisterne), un generatore elettrico, nessuna esigenza di raccolta differenziata dei rifiuti e nessuna discarica in loco (i rifiuti vengono qui compattati e trasferiti di là dal mare in Puglia). 500 residenti circa, cui si aggiungono un paio di migliaia di turisti estivi, ma che calano ad un centinaio a malapena durante i lunghi e burrascosi inverni, durante i quali la maggior parte dei locali ripara volentieri in zona Termoli, unico centro della costa nella brutta stagione quotidianamente collegato. Ed è proprio in questo periodo che vi sono approdato io, alla fine di novembre, sfidando la sorte sulle onde al termine di una furibonda tempesta durata quasi una settimana, fiducioso in qualche giorno di bel tempo, che il mare e la stagione inclemente hanno poi voluto imprevistamente e benignamente regalarmi.

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ll barcaiolo evidentemente proprio non mi sopporta.
In compenso ci sono almeno altre due persone che invece mi hanno accolto nel migliore dei modi. Francesco, il giovane e dinamico titolare del Micro Hotel Rossana (8 camere arredate in rigoroso stile marinaresco Corto Maltese, curate e perfette in ogni dettaglio), la cui squisita e professionalissima ospitalità si era già spinta al punto da telefonarmi per… dirmi di rimandare il mio arrivo contro il suo stesso interesse, proprio alla scopo di evitarmi la possibile brutta esperienza del maltempo; e Rosa del Ristorante La Fenice, in questi mesi dell’anno praticamente l’unico aperto a cena delle isole (come del resto il Rossana l’unico albergo), che ha saputo deliziare noi suoi tre avventori tre (non mi è stato dato di conoscere la storia degli altri due, so solo che ci ritrovavamo lì in tre) con manicaretti a base di ottimo pesce fresco ed ottime verdure sapientemente ad esso combinate.

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Sia Francesco che Rosa mi hanno caldamente invitato a tornare, magari in un periodo meno sfavorevole, ed io spero di farlo perché loro davvero lo meritano; frattanto, vi invito a mia volta a far loro visita, quando un domani doveste essere voi ad approdare voi sulle loro isole. Che la leggenda vuole sovrumanamente create, scagliando dei macigni in mare (e come dimensioni ci saremmo quasi) dall’eroe omerico Diomede, di rientro dalla guerra di Troia: e infatti, ve lo trovate raffigurato così.

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San Nicola è l’insediamento storico, sovrastato dalla imponente mole dell’antica abbazia benedettina di Santa Maria a Mare.
Fu teatro di una battaglia navale di cui le sue mura recano ancora oggi le tracce, che vide i murattiani resistere epicamente agli assalti della flotta britannica, e già in epoca borbonica era stato popolato di forzati, cui si erano poi succeduti altri coloni inviati dall’isola d’Ischia, e infine, nel secolo scorso, prima i prigionieri di guerra libici e poi gli antifascisti mandati al confino.

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Il parimenti minuscolo nucleo abitato di San Domino, che vedo pullulare di alberghetti e ristorantini adesso chiusi per l’inverno, è invece il risultato del relativamente recente sviluppo turistico del luogo.

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Qui a San Domino, e la si può vedere bene dal traghetto quando si arriva o si parte, aveva la sua villa Lucio Dalla, proprio sotto la piazza del paese oggi a lui intitolata. Lucio era grande appassionato e cittadino onorario delle Tremiti: e vi capiterà spesso, di là a San Nicola, di imbattervi in targhe e maioliche con su vergati i versi delle sue canzoni.

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Ma il viaggiatore desideroso al pari di lui di serenità e silenzio troverà ovunque, in questa stagione invernale, quello cui egli anela.

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A San Domino, lasciata Cala delle Arene, l’unica e suggestiva spiaggetta di sabbia presso il porto, egli vagherà solitario tra ininterrotte foreste di altissimi pini (eppur bizzarramente e sistematicamente, come del resto anche a San Nicola, punteggiate di insoliti lampioni), che affacciano su scogliere screziate da misteriose grotte marine.

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Punterà lo sguardo al profilo azzurro della costa garganica che si staglia in lontananza all’orizzonte; toccherà, all’estremità dell’isola, il rudere di un faro cui diede notorietà, a metà degli anni ottanta, una intricata e mai chiarita vicenda di spie e servizi segreti che, più o meno negli stessi giorni nei quali Muhammar Gheddafi avanzava sulle isole le proprie rivendicazioni territoriali a titolo di risarcimento delle persecuzioni subite dai cittadini libici ivi internati durante il fascismo, vide paradossalmente esplodervi una bomba nel nulla del suo isolamento.

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Salirà sul colle boscoso alto un centinaio di metri per meglio scrutare il mare e il paesaggio…

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…e sosterà nell’area della magica cappella lignea costruita dal parroco e dai paesani in una radura che si affaccia sulle onde, per potervi celebrare la messa all’aperto, immersi nella bellezza e nello splendore della natura rigogliosa e silente.

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A San Nicola invece, sbarcato dal burbero Caronte o in alternativa, come il sottoscritto, da un gommone guidato da un giovane pescatore gentile, si aggirerà  tra le basse volte dell’imponente e maestosa rocca, vuote e silenti anch’esse, di nuovo invase da muschio e vegetazione pur dopo un recente ed ahimè già perduto recupero, affacciandosi a tratti da camminamenti, feritoie e terrazze, per poi sbucare, una volta percorso il breve viale del paese orlato da palme e poi ancora altri ambienti e passaggi a picco sul mare

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…in un vasto pianoro ricoperto dalla macchia, ove imperano sotto il freddo sole d’inverno grandi cespugli di lentisco e ginepro, e onnipresenti ciuffi di cipolla selvatica.

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In fondo al suo breve cammino, due cimiteri: quello del paese, con una targa all’ingresso che riporta un verso di “Caruso” (“Ma sì, è la vita che finisce ma lui non ci pensò poi tanto, anzi si sentiva già felice e ricominciò il suo canto”, ma Dalla non è sepolto qui), col cancello chiuso da una cima annodata che non io ho voluto sciogliere, e il Memoriale dei Caduti della Libia, il cartello con i nomi dei quali ho trovato abbattuto dalla furia della recente tempesta.

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E proprio esattamente nel mezzo dell’isola di San Nicola, appena usciti dalla cinta muraria dell’abbazia e dalla stretta gola (la “Tagliata”) che ne circonda il retro, un’unica casa, dove a tradire presenza umana c’erano solo i panni stesi ad asciugare. E l’ho subito riconosciuta: è quella che appare in “Isole”, di Stefano Chiantini, enigmatico film del 2011 nel quale Asia Argento magistralmente interpreta il ruolo di una ragazza disturbata e tormentata al punto da aver perso la parola, e che riesce a comunicare soltanto con le sue api e con un’altra anima sofferente, un muratore albanese giunto per caso e osteggiato in ogni modo dagli isolani. Perché ah, dimenticavo di dirvi: nella mia decisione di arrivare oggi sin qui molto ha pesato l’aver visto e apprezzato a suo tempo questa per me magica storia, cercatela e vedetevela, vi assicuro che rende perfettamente l’idea del colore e del sapore dell’esperienza che vi aspetta, quando metterete piede anche voi qui alle Tremiti.

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2 Risposte a “D’inverno alle Tremiti”

  1. Sono contenta che alla fine hai trovato il sole, che in queste bellissime foto si vede tutto. Un altro viaggio da coraggio, soprattutto per il barcaiolo che risulta assai inquietante 🙂

  2. Meno di quel che pensi… più inquietante resta per me il pensiero di come deve essere quando il tempo è brutto…

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