Io cammino!

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 Avete mai provato a chiedere in giro quanti chilometri dista un luogo da un altro  limitrofo? E quanto tempo ci vuole per arrivarci a piedi? Ebbene, se lo fate, rivolgendo la domanda a più persone, scoprirete presto che le risposte ricevute spesso cozzano violentemente l’una contro l’altra. Trecento metri, ottocento metri, tre chilometri, un chilometro e mezzo… fino a più realistiche ammissioni come “non saprei, non ci sono mai andato a piedi”,  ad esternazioni di perplessità del tipo “eh, ma quanto ci vuole…”, per concludere con affermazioni più drastiche del tipo “ma da qui a lì ci non si può mica andare, a piedi!” 

 La distanza in auto, e il tempo che ci vuole per percorrerla, quella invece la conoscono tutti esattamente, e infatti provano sempre e poi riprovano, sia la prima volta che ti rispondono, sia dopo che tu hai specificato di nuovo “non in auto, a piedi, io sono a piedi”, a spiegarti il percorso stradale automobilistico: svolte, semafori, slarghi, rotonde, sensi unici etc. Di quello sì che sanno tutto.

 E’ evidente che la gente non cammina. Mai. Neanche quando facilmente potrebbe, neanche quando questo assicurerebbe loro un reale risparmio di tempo.

 Nella mia città, Avellino, dove purtroppo il dibattito sulla reale opportunità dell’apertura di nuove aree pedonali è ancora del tutto aperto – nel senso che ogni volta che l’amministrazione comunale prova a definirne una nuova si solleva un coro eterogeneo e compatto di disperate polemiche – ho visto e vedo gente cospargersi il capo di cenere, di fronte alla nefasta prospettiva di dover parcheggiare a dieci minuti a piedi dall’ufficio; quando l’operazione del parcheggio sotto l’ufficio gli comporta già sia gli stessi dieci abbondanti minuti abbondanti di tempo speso girando in tondo alla ricerca del posto libero, sia qualche altro inevitabile minuto a piedi.

 E certo, perché il parcheggio a pagamento è un altro tabù: per quanto poco possa costare, sarebbe un delitto utilizzarlo, quegli euro vanno invece rigorosamente spesi per offrire caffè al bar controvoglia a questo e a quello, che rigorosamente controvoglia li accetta e poi offrirà a sua volta di malavoglia.    

 I mezzi pubblici? “Non ci sono”. E’ il loro modo di dire che ce ne sono pochi. Ma anche quello di ribadire che non li hanno mai presi né li prenderebbero mai in considerazione. Sì, è vero, sono pochi, radi, malandati, male organizzati e mal segnalati; ma d’altronde, se nessuno mai li prende…

 La mia amica Cinzia, che va sempre, e sottolineo sempre, a piedi, ha un’idea interessante al riguardo: quella cioè che la domanda di trasporto pubblico, in aree come la nostra e come tutte quelle di provincia che fanno resistenza ad abbandonare l’uso quotidiano dell’auto, va incentivata proprio per il tramite della pedonalizzazione forzata.

 In altre parole, non dobbiamo prima intensificare le corse dei bus – che tanto comunque nessuno prenderebbe – e poi chiudere le aree al traffico, ma il contrario; in modo da rendere richiesto, visibile e apprezzato lo sforzo. Io aggiungo che va operato lo stesso ragionamento con i parcheggi: ma quali parcheggi di snodo per navette etc, la macchina la devi lasciare a casa e basta, se e finché avrai parcheggi e navette a disposizione continuerai a prenderla, a fare casino ed a provare comunque  ad arrivare a destinazione.

 Un po’ come succede con quei patetici fumatori incalliti che continuano ad invocare il diritto a fumare in aree ristrette loro appositamente dedicate: la corretta risposta è che le leggi antifumo, come del resto già dice la parola stessa, sono fatte proprio allo scopo di disincentivarlo, il  fumo, e non certo per garantirlo in modo tutelato e protetto. E lo stesso vale per i processi di pedonalizzazione.

 Dicono: “Ma così spostiamo lo smog in periferia”. E’ vero. Ma parliamo comunque di aree più vaste dei nostri piccoli centri storici cittadini. E poi non ci sono mica solo i bus a benzina: ci sono quelli elettrici, le reti metropolitane, le ferrovie locali  etc. E’ il progresso, baby.

 E sarà che a me non piace guidare, ma vuoi mettere il relax di spostarti senza la tensione e la preoccupazione di sbattere, magari leggendo qualcosa, o semplicemente, come piace a voi, passando il tempo sui social con lo smartphone?

 “Piove”. Giusto. Ogni tanto succede, e meno male. Personalmente io mi trovo assai più a disagio quando dardeggia il solleone. E non prendo quasi mai neppure l’ombrello, preferisco i teli incerati impermeabili e gli stivali di gomma; se è roba di  di buona qualità vedrai che con quelli ti bagni di meno che con l’ombrello. Una borsa o uno zaino – impermeabili anche quelli – per il ricambio se serve, ed è fatta. Io ci giro persino in bicicletta, sotto la pioggia, se non è proprio un diluvio. Il vero problema magari sono i dislivelli, la cronica assenza di piste ciclabili e gli automobilisti incazzosi e omicidi, ma questa è un’altra storia.

 Come un’altra storia sono le giornate trascorse camminando all’aria aperta: in montagna, e in vacanza in genere, mi piace molto dedicarmici, per me non c’è niente di più bello di un intero giorno trascorso in cammino, del sentire sotto i piedi la terra che stai percorrendo e visitando, passo dopo passo nel mentre te la guardi con gli occhi località dopo località, assaporandone l’aria vera senza filtri; è una di quelle emozioni da non perdere! E che vuoi che sia un po’ di stanchezza al confronto?

 A Siena – città d’arte oggi interamente pedonalizzata dove ho vissuto per qualche tempo, e dove persino il cassonetto per la spazzatura non ce l’hai mai sotto casa – mi hanno raccontato di quando, all’inizio degli anni settanta, l’amministrazione comunale stava per varare l’avvio della prima chiusura al traffico urbana d’Italia.

 Le polemiche, mi hanno detto, erano più o meno le stesse che noi facciamo oggi ad Avellino (sigh…), con una significativa domanda in aggiunta: se pedonalizziamo, e dunque riduciamo il numero di parcheggi disponibili in centro ed aree adiacenti, come faremo poi ad accogliere in maniera adeguata i tanti turisti? (Problema che ahimè noi non abbiamo).

 E la risposta fu: accoglieremo i turisti che possiamo accogliere, perché non ha senso snaturare e degradare la città, né per turismo né per altro (cosa che, nuovo ahimè, i loro vicini fiorentini purtroppo non hanno ancora capito).

 Morale della favola: Siena ha continuato ad accogliere ed accoglie tuttora frotte incalcolabili di turisti per undici mesi l’anno. Dal primo weekend di marzo all’ultimo di ottobre una processione di torpedoni li scarica in Piazza della Lizza e via. Anche chi ci arriva in auto parcheggia intorno alla Fortezza Medicea e via, mai visto né avuto all’epoca nessun problema, neppure nella mia qualità di residente di allora.   

  Ora che sono qui invece, così come tutte le volte che mi capita di muovermi altrove nella provincia italiana minore, vengo valutato alla stregua di una sorta di supereroe, e fanno bene a considerarmi così! Io ai loro occhi io posso quello che loro non possono… io per loro sono instancabile, irraggiungibile, inossidabile, inarrivabile, immarcescibile, atletico, magnetico, eretico, estetico, simpatetico, e volete sapere perché? Ma è semplice: perché… io cammino! E loro no… ma voi potete sempre incominciare e migliorare. 

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Una risposta a “Io cammino!”

  1. E su questo la pensiamo uguale. Io aggiungo che le macchine mi infastidiscono anche da ferme. Mi basta un giorno fuori città e quando torno la fila ininterrotta di auto che occupa ogni cosa la trovo brutta, ma proprio brutta e deprimente. Il ridicolo è che magari gli stessi che vanno in macchina anche solo per 200 metri poi vanno in palestra, per “tenersi in forma”, e pagano anche.
    Non sono tanto d’accordo invece su mettere i mezzi dopo. Aree pedonali e mezzi devono essere messi insieme, c’è sempre qualcuno che ha veramente bisogno di un mezzo.

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