Barbaro che non sono altro

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 Dici che “dobbiamo parlare in italiano”. Essì, vabbè, ma che vuol dire? Che non dobbiamo dire computer? Che non dobbiamo dire cocktail, marketing, brain storming? Che non dobbiamo dire look, meeting, pressing? E come dobbiamo dire allora? Come se non fossero parole… italiane!

 Ci sono lingue protezioniste (il francese, per certi versi lo spagnolo) e lingue assorbenti (tipicamente, l’inglese). Nel mezzo, quelle neutre sotto questo aspetto, come l’italiano. Se i francesi e gli spagnoli dicono ordinateur e ordenador,  se i francesi mettono un tetto alle canzoni in lingua straniera da poter trasmettere alla radio e gli spagnoli continuano ostinatamente a tradurre tutti i titoli dei film americani, gli inglesi invece già da secoli utilizzano parole italiane o di origine italiana come cifra di stile ed eleganza: arcade, finale, extravaganza, capucino etc. Storpiandone solo un tantino la pronuncia, e va bene, come del resto facciamo lo stesso e anche peggio noi con la maggior parte dei loro neologismi che accettiamo.  Avete presente Batman, Superman e Spiderman? Appunto.

 Questo inglobare termini ed aree concettuali aliene nel loro scarno vocabolario di partenza gli anglosassoni lo hanno messo in atto praticamente da sempre, cioè sin da quando si impadronivano del suono e della complessità di significati del latino; e la stessa operazione oggi ci restituiscono ogni volta che diciamo computer. Dunque tutte queste nuove parole non sono più di un’altra lingua, perché fanno a tutti gli effetti oggi parte della nostra più né meno di altre, e sarebbe adesso miope respingerle in nome di una presunta loro non italianità. Se non altro per una questione di apertura mentale: come credete che abbiano fatto, i barbari che erano, a sopravvivere e a imporsi nel duro mondo decadente del Medioevo, se non traendo a sé il meglio dell’universo latino e cristiano? Barbari sì, ma mica stupidi, è proprio questo che li portati ai vertici delle società europee allora e poi dopo nei secoli; e noi vorremmo essere da meno? Proprio noi che in tema di vocabolario rispetto a loro siamo maestri? Proprio noi che a suo tempo ce lo siamo imbottito di parole arabe? Ottomana, divano, tapparella, e allora?  Loro che copiavano in rispettosa adorazione – spesso senza neppure capirne nulla – i nostri testi latini nei loro conventi irlandesi, e noi adesso ci scandalizziamo per gli inglesismi che dilagherebbero?

 Sapete cosa vi dico? Che l’importante è capirsi, e ad una bella parolina inglese, che mi rende l’idea bene e meglio di un scarso surrogato quando non di un fumoso giro di parole in italiano, io mica ci rinuncio: dopo di che, fate voi, occhèi?  

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