Who are SECONDS?

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 Un bel po’ di tempo fa – potevo avere un quindici o sedici anni – beccai uno strano film una sera tardi in tivvù.

 Una vecchia pellicola in bianco e nero, voglio dire già vecchia anche per allora: la storia era quella di un uomo normale, con un lavoro normale, una moglie normale, una vita normale insomma, ma che all’improvviso, nel cuore della notte, viene raggiunto dalla telefonata di un amico… tragicamente morto tempo prima.

 Ovviamente non era morto, l’amico; come gli stava spiegando appunto al telefono, grazie al supporto di una misteriosa, riservatissima, ed assai costosa  agenzia specializzata in questo tipo di delicate faccende, aveva deciso invece di tagliare i ponti con il suo passato e tutta la sua vita precedente, simulando la propria dipartita, disponendo un falso funerale e… ritirandosi a fare la bella vita altrove dopo una radicale plastica facciale che lo aveva reso del tutto irriconoscibile.

 E adesso – diceva sempre al telefono al protagonista il suo amico improvvisamente e bizzarramente risorto – la stessa preziosa, imperdibile opportunità sarebbe potuta capitare anche a lui. Non aveva che da accettare la stessa proposta, di cui quei gentili signori avevano in via del tutto eccezionale concesso di proporre proprio a lui l’estensione: da persona fidata a persona fidata, certi della sua massima, fondamentale riservatezza.

 Ma poi, cosa c’era da pensarci su? Un’occasione così, quando ti capita? Il denaro? E stai a pensare al denaro, con la felicità e la fortuna che ti passano accanto e devi solo fermarle e afferrarle?

 Non era stato difficile convincerlo – forse non lo sarebbe stato con nessuno – e il film si dilungava nei contatti ultrariservati intrapresi con questi eleganti ed enigmatici consulenti: la definizione delle condizioni economiche e la firma del contratto, la scelta accurata della nuova identità, e poi tutti i complessi preparativi, fino alla messa in scena di un incidente stradale, per giungere poi al momento fatidico della plastica. Ricordo vividamente quel volto fasciato dalle bende, e l’urlo che gli sfuggiva, nel risveglio in preda al panico.

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 Dopo di che, le cose incominciavano subito ad andar molto meglio: un nuovo nome, un bel viso più giovane, un nuovo lavoro creativo, bella vita, belle auto, belle donne. Tutto perfetto, insomma.

 Forse fin troppo perfetto. Tanto da generare il fatale insorgere di noia e nostalgia. Il desiderio di tornare indietro, di recuperare le radici rinnegate, rimettendosi alla prova non più con nuove, costruite, sterili occasioni, ma con quelle autentiche a suo tempo malamente sciupate e perse.

 Sì, questo chiedeva adesso, il nostro fortunato beneficiato, ai suoi ineffabili benefattori: di riavere indietro la sua vera faccia e la sua vera vita.

 I quali gli rispondevano che, in via del tutto eccezionale, si sarebbe potuto anche fare: ad una condizione, però.

 Favore per favore, avrebbe prima dovuto contattare un amico fidato, convincendolo alla stessa trafila dello stesso contratto: finta morte, plastica, nuova identità… gli affari sono affari.

 L’ultima scena del film era uguale alla prima: l’intensa inquadratura di un telefono che squillava nel cuore della notte, in attesa di tradire con vana lusinga i sentimenti di amicizia del prossimo malcapitato.

 Bello, no?

 Come ho poi scoperto soltanto l’anno scorso, grazie ad una provvidenziale dritta di amici di amici dopo infruttuosi decenni di domande e ricerche (grazie, Elena!), il film in questione era “Operazione diabolica (Seconds)” del 1966, di un giovane John Frankenheimer, con nientemeno che Rock Hudson nel ruolo del nostro dopo la plastica.

 Quando finalmente sono riuscito ad entrarne in possesso e a riguardarmelo, però, ho scoperto alcune altre cose interessanti e inquietanti.

 E che cioè… che non era mica come me lo ricordavo io. In parecchi punti. Nel corso degli anni, cioè, ne avevo elaborato il senso e la trama in maniera mia personale, trasfigurando il mio ricordo in tutt’altre direzioni.

 Persino la scena finale non era quella che vi ho appena descritta,  col telefono in primo piano che squilla etc.

 No, la scena di chiusura con il telefono non c’era affatto.

 Perché il film si conclude invece con una sequenza nella quale la barella con su il nostro sventurato personaggio viene lentamente spinta in sala operatoria, mentre la realtà ai suoi occhi sfuma pian piano sotto l’effetto dell’anestesia, e l’ultima immagine, che vediamo in soggettiva, è quella del volto del chirurgo sopra di lui. Doveva essere il nuovo intervento di plastica concordato per ridargli le sue vecchie sembianze: ma noi sappiamo, e a questo punto anche lui se ne è ormai reso tragicamente conto (da una serie di indizi disseminati nell’ultima parte della storia nonché dall’imprevista, surreale, esplicita apparizione di un Pastore venuto a impartirgli gli ultimi conforti) che stanno invece per ucciderlo con determinata e deliberata freddezza, allo scopo di utilizzare il suo cadavere sfigurato quale alibi di morte per il prossimo cliente. Secondo procedura, perché gli affari sono affari, e ogni ditta, per professionale e accattivante che si presenti, ha inevitabilmente i suoi inconfessabili segreti.

 Visto che scherzi può giocare la memoria? Io questo mefistofelico, sulfureo finale lo avevo completamente rimosso, sostituendolo con un altro di mia totale fantasia. Seppur ugualmente efficace… anzi, a ben pensarci, a me la mia variazione sul tema piace addirittura un tantinello di  più: e a voi?

 Sentite, facciamo così, la scena in questione io ora ve la linko da YouTube (anche se in effetti è tutto il film che meriterebbe), voi ci date un’occhiata e mi dite: e chissà che non la troviate ancora diversa da come ve l’ho descritta appena adesso! Benedetta memoria… 


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